L’ESTINZIONE DEL REATO IN MATERIA DI SICUREZZA E IGIENE DEL LAVORO
L’introduzione di un nuovo istituto nella struttura armonica dell’ordinamento giuridico determina necessariamente un complesso di effetti di natura interpretati”a ed applicativa non solo nella disciplina specifica oggetto dell’innovazione, ma altresì nei comparti normativi interferenti con detta disciplina.
È quanto accaduto a seguito della introduzione della causa di estinzione del reato I di cui all’art. 24 d.lgs. 19 dicembre 1994 n. 758 recante “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro”. Il citato art. 24 del d.lgs. 758/94 prevede, infatti, che “la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall’art. 21, comma 2”.
Trattasi, com’è agevole rilevare dal testo del citato articolo, di causa di estinzione operante esclusivamente per i reati in materia di sicurezza e igiene del lavoro di natura contravvenzionale puniti con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda.
In ordine al procedimento delineato dal legislatore, si impone una preliminare notazione sulle ragioni sottese alla introduzione della causa di estinzione dequa. È indubbio che il legislatore del 1994 abbia voluto perseguire l’obiettivo di assicurare l’effettività dell’osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, ove si consideri che l’effetto estintivo del reato opera nella ipotesi di perfetto adempimento da parte del contravventore alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza. Invero, deve rilevarsi che prima facie sia l’adempimento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, sia l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione accertata con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza sarebbero inidonei – stando ad un interpretazione meramente sistematica – ai della declaratoria di estinzione del reato ex art. 162 bis c.p., che – com’è noto – è preclusa nel caso di permanenza delle conseguenze dannose del reato. E che l’obiettivo del legislatore del 1994 fosse proprio quello di assicurare, in materia di lavoro, l’effettiva osservanza delle misure di protezione e di prevenzione, anche a discapito dell’interesse all’applicazione della sanzione penale, è stato perspicuamente evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 18 febbraio 1998 n.19.
La Consulta, nel dichiarare l’infondatezza di tre diverse questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, d.lgs. 758/94, ha enucleato la ratio ispiratrice dell’intervento legislativo nella esigenza di predisporre un meccanismo funzionalmente destinato alla eliminazione delle conseguenze dannose della violazione accertata e, dunque, destinato ad una effettiva tutela dei lavoratori.
Tale obiettivo risulta perseguito attraverso il meccanismo descritto nel capo II del d.lgs. 758/94, che si articola nei seguenti passaggi:
1. l’organo di vigilanza procede all’accertamento della violazione ed impartisce al contravventore apposita prescrizione, con fissazione per la relativa regolarizzazione di un termine massimo di sei mesi prorogabile per una sola volta di ulteriori sei mesi;
2. l’organo di vigilanza riferisce al pubblico ministero la notitia criminis ex art. 347 c.p.p. ed ìl relativo procedimento penale è sospeso ope legis;
3. l’organo di vigilanza, entro sessanta giorni dalla scadenza del termine assegnato, verifica se il contravventore ha adempiuto alla prescrizione impartita;
4. l’organo di vigilanza, in caso di adempimento, ammette il contravventore al pagamento di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione commessa, dandone comunicazione al pubblico ministero che richiede l’archiviazione per intervenuta estinzione del reato;
5. l’organo di vigilanza, in caso di inadempimento, ne dà comunicazione al pubblico ministero per la prosecuzione del procedimento penale.
Ora, dal sistema così delineato emergono, con diversa rilevanza, le questioni concernenti:
a) la ammissibilità della declaratoria di estinzione del reato ex art. 24, comma 1, d.lgs. 758/94 nella ipotesi di regolarizzazione della violazione prima che l’organo di vigilanza abbia impartito la prescrizione;
b) le ammissibilità della declaratoria di estinzione del reato ex art. 24, comma 1, d.lgs. 758/94 nella ipotesi di adempimento della prescrizione in un tempo superiore ovvero con modalità diverse da quelle prescritte dall’organo di vigilanza;
c) la impugnabilità dinanzi al giudice amministrativo della prescrizione dell’organo di vigilanza.
Su ciascuna delle suindicate problematiche si articolano le osservazioni di seguito formulate nella prospettiva di fare il punto della situazione. In ordine alla problematica della ammissibilità della causa estintiva in questione nell’ipotesi in cui il contravventore abbia autonomamente provveduto ad eliminare le conseguenze dannose della violazione, è indubbio che, pur in difetto di una espressa previsione legislativa, trovi applicazione il 1° comma dell’art. 24 d.lgs. 754/98.
Diversamente opinando, si determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento nei confronti del contravventore che abbia spontaneamente regolarizzato la violazione rispetto al contravventore adempiente alla prescrizione dell’organo di vigilanza.
In proposito, risulta dirimente, ai fini delle ammissibilità della definizione amministrativa dell’illecito, che lo stesso legislatore abbia previsto, in parallelo alla situazione tipica, l’ipotesi in cui il pubblico ministero acquisisca aliunde la notitia criminis,ossia da soggetti diversi dall’organo di vigilanza. Molto più problematica risultava, prima dell’intervento chiarificatore della Corte Costituzionale, la tematica sulla ammissibilità della causa estintiva de qua nella ipotesi di adempimento in tempo superiore con modalità differenti rispetto a quelle impartite dall’organo di vigilanza.
In tali casi, la estensione della causa estintiva risultava di per sé preclusa, per un verso, dalla formulazione del 1° comma dell’art. 24 d.lgs. 758/94 che rinvia tassativamente alla ipotesi dell’adempimento e, per altro verso, dalla formulazione del 3° comma del citato art. 24 che expressis verbis prevede: “l’adempimento inuntempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell’art. 20, comma 1, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, sono valutate ai.fini dell ‘applicazione dell ‘art. 162 bis c.p.”.
Sennonché, rimessa la questione dinanzi alla Corte Costituzionale, la Consulta, con la sentenza n. 19 del 18.02.1998, è pervenuta all’affermazione che, pur in presenza della difettosa formulazione dell’art. 24 comma 1d.lgs. 758/94, la normativa, nel sostanziale rispetto del principio di eguaglianza, va interpretata nel senso di consentire l’estinzione del comportamento di reato anche per coloro che abbiano regolarizzato la violazione prima di subire la prescrizione od a seguito di disposizioni con formalità non rispondenti alle linee legislative, rimanendo impregiudicata la discrezionalità dell’autorità giudiziaria di adottare le soluzioni più idonee ad investire l’organo vigilante, nel rispetto della duplice esigenza di attivare la sua specifica competenza tecnica e di ricondurre alle fattispecie ed alle procedure di legge situazioni sostanzialmente omogenee.
In definitiva, la Corte Costituzionale, con meccanismo interpretativo di rigetto ha attribuito alla disposizione denunciata una portata maggiore tal da ricondurre le due ipotesi innanzi richiamate nell’alveo della procedura volta ad ammettere, comunque, il contravventore alla definizione amministrativa, con conseguente estinzione del reato. Altrettanto rilevante risulta, infine, la problematica se fosse impugnabile davanti al giudice amministrativo la prescrizione elevata dall’organo di vigilanza ai sensi dell’art. 20 d.lgs. 578/94. Con tutte le applicazioni conseguenti ad un eventuale riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo sull’accertamento dell’organo di vigilanza in virtù dell’art. 479 c.p.p. che attribuisce al giudice penale la facoltà di disporre la sospensione del dibattimento qualora la decisione sull’esistenza del reato dipende dalla risoluzione di una questione amministrativa in corso. In proposito, il sindacato del giudice amministrativo risulta precluso ab origine dalla natura giuridica dell’atto con il quale vengono impartite le prescrizioni al contravventore. Trattasi, invero, di atto che il legislatore ha ricondotto nell’alveo degli atti tipici della polizia giudiziaria, mediante l’espresso richiamo all’art. 55 c.p.p. operato nell’art. 20 d.lgs. 758/94 e promanando da un organo esercente le funzioni di polizia giudiziaria posto sotto la direzione del pubblico ministero, sfugge alla giurisdizione del giudice amministrativo. In tali termini, risulta, peraltro, l’orientamento della Suprema Corte che, seppur in un obiter dictum, nel risolvere un conflitto di giurisdizione tra giudice penale e giudice amministrativo, ha ritenuto non impugnabile dinanzi al TAR la prescrizione emessa dall’organo di vigilanza ex art. 20 d.lgs. 758/94, sul presupposto che il meccanismo introdotto dal legislatore non è affatto avulso dal procedimento penale sorto in forza della comunicazione della notitia criminis da parte dell’organo di vigilanza. Che, anzi, l’intera sequenza in cui si articola il meccanismo di definizione in via amministrativa dell’illecito risulta funzionalmente e strutturalmente legato al relativo procedimento penale, al punto da costituirne parte integrante.
Avv. Elio Addante