IL REGIME SANZIONATORIO DELLA VIOLAZIONE DELLE REGOLE SULLE INVESTIGAZIONI DIFENSIVE
1. Generalità.
Il regime della patologia degli atti di investigazione, benché chiaramente complementare alla parallela disciplina dell’utilizzabilità delle investigazioni, non risulta organicamente configurato dalla dottrina in un quadro contrapposto alla fisiologia della materia.
La legge istitutiva contiene invero, accanto a specifiche previsioni di responsabilità penale e di responsabilità disciplinare, anche diverse ipotesi di inutilizzabilità. Essa non contempla, invece, ipotesi di nullità, anche se è possibile che queste ultime derivino da inosservanze di carattere generale ai sensi dell’art. 178, mentre delle ipotesi di decadenza potranno conseguire alla violazione di limiti temporali eventualmente irreversibili nella dinamica del procedimento. In questo disarticolato ordine di previsioni, è il caso quindi di delineare, sia pure a grandi tratti, il regime sanzionatorio di cui trattasi sotto i distinti profili della inutilizzabilità, della responsabilità disciplinare e della responsabilità penale.
2. L’inutilizzabilità degli esiti delle investigazioni
L’inutilizzabilità in materia di investigazioni è oggetto di espressa previsione in due sole ipotesi: il comma 6 dell’art. 391-bis ed il comma 9 della stessa norma. Il comma 6 ascrive l’inutilizzabilità alla violazione delle disposizioni dei primi 5 commi dello stesso art. 3 91-bis, mentre il comma 9 ha riguardo alla violazione della specifica disposizione concernente l’omesso avvertimento di cui allo stesso comma, in proposito richiamando essenzialmente l’analoga disposizione di cui all’art. 63, comma 1. Al tema dell’inutilizzabilità dovrebbe, invero, premettersi il problema della estensibilità della categoria dal campo della prova, alla quale è esplicitamente circoscritto nell’art. 191, a quello delle investigazioni difensive i cui esiti, a rigore, non costituiscono prova, salvo che si siano realizzati tramite incidente probatorio. La questione è tuttavia da ritenere superata, essendo ormai pacifica, specie in giurisprudenza, l’estensibilità del regime sanzionatorio tipico della prova anche al campo delle indagini, nell’ambito delle quali sarebbe frutto di evidente sofisma distinguere tra investigazioni difensive ed indagini propriamente dette, tanto più se si tien conto del comma 2 dell’art. 191, il quale estende la sfera dell’inutilizzabilità ad ogni stato e grado del procedimento. In ogni caso, il problema non si pone rispetto alle esplicite previsioni di cui si è detto, nelle quali il presupposto tipico della categoria dell’inutilizzabilità, ossia la violazione di divieti, la legge ha ritenuto evidentemente sussistente. Occorre allora stabilire se, anche al di là di dette ipotesi, non siano riscontrabili situazioni nelle quali si ravvisino analoghe violazioni di divieti, indagine quest’ultima del tutto legittima, considerato che il carattere generale del disposto dell’art. 191 tale ricerca consente anche in assenza di una specifica previsione. Orbene, una verifica dell’intero ordito della novella consente di individuare, al detto fine, le seguenti ipotesi di inutilizzabilità di carattere «generale» conseguenti ad altrettante violazioni di divieti, con l’avvertenza che altre fattispecie di divieto appaiono ravvisabili anche nei casi di violazioni di obblighi di non compiere attività investigative specifiche, segnatamente in ipotesi di originaria inammissibilità del loro compimento.
2.1. I divieti ravvisabili in linea sistematica.
Alla luce di tale premessa, una ipotesi di inosservanza di divieto sembra ricorrere nel caso di investigazioni svolte nonostante il decreto di differimento di cui all’art. 366, commi 1 e 2. In forza di quel provvedimento l’esame e l’estrazione di copie dei verbali di atti di indagine compiuti dal pubblico ministero devono ritenersi vietate, sicché la eventuale investigazione, come ogni altra attività difensiva fondata sull’indebito intervento del difensore, deve ritenersi inutilizzabile. Analogo divieto di ordine generale è ravvisabile nei casi, di cui al comma 7 dell’art. 391-bis, di dichiarazioni ed informazioni di persone detenute non precedute dalla prescritta autorizzazione di cui il difensore deve appositamente munirsi. Ed è proprio la doverosità di un tale incombente a rendere configurabile l’esistenza di un divieto e, quindi, l’inutilizzabilità conseguente alla violazione del medesimo. Altri sostanziali divieti di audizione ricorrono nelle ipotesi di cui ali’ art. 362, espressamente richiamato dal comma 10 dell’art. 391-bis, anche se, a rigore, la violazione di essi dovrebbe provocare l’inutilizzabilità di indagini del pubblico ministero e non anche di investigazioni difensive. A norma del primo periodo del citato comma 10 rileva, altresì, il divieto per l’organo pubblico, speculare a quello del comma 4 dello stesso art. 391-bis, di assunzione di informazioni e di dichiarazioni su domande formulate e risposte date da persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto.
Di più ampio rilievo sono i divieti ravvisabili nei casi richiamati dal secondo periodo dell’art. 362: ciò sia nel senso della molteplicità delle situazioni contemplate che della pari inutilizzabilità tanto delle indagini dell’ accusa quanto delle investigazioni della difesa.
I divieti in questo caso sono riferiti ad litteram alla testimonianza ma, come si è detto, essi valgono anche per gli atti di investigazione. Trattasi dei seguenti casi, tutti integranti violazioni del divieto di audizione di soggetti attinti da incompatibilità con l’ufficio di testimone ex art. 197:
– dei soggetti non rientranti nelle ipotesi previste dall’art. 197-bis, frattanto introdotto dalla legge 1 marzo 2001, n. 63;
– dei soggetti non obbligati a deporre su fatti dai quali avrebbe potuto emergere una loro responsabilità penale: art. 298, comma 2;
– dei prossimi congiunti dell’imputato, che avrebbero potuto astenersi dal deporre: art. 199, comma 1;
– dei soggetti tenuti al segreto professionale che siano stati obbligati, fuori dai casi consentiti, a rendere informazioni per ragione del loro ministero, ufficio o servizio: art. 200, con specifico riferimento, nella specie, ai so getti ricompresi nella lett. b) della norma in esame, ossia awocati, investigatitori privati e consulenti tecnici;
– dei pubblici ufficiali, pubblici impiegati ed incaricati di pubblico servizio tenuti al segreto di ufficio, che siano stati obbligati, fuori dai casi consentiti a rendere informazioni o dichiarazioni su fatti conosciuti in ragione del loro ufficio e destinati a rimanere segreti;
– dei pubblici ufficiali, pubblici impiegati ed incaricati di pubblico servizio che siano stati obbligati ex art. 202 a rendere informazioni o dichiarazioni su fatti coperti dal segreto di Stato;
– degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, nonché degli addetti ai servizi di informazione e di sicurezza militare o democratica, delle cui informazioni è decretata l’inutilizzabilità ove i loro informatori, di cui abbiano indebitamente rivelato i nomi, non siano stati a loro volta esaminati ai sensi dell’art. 203, del quale è da evidenziare l’importanza del comma 1-bis, inserito dalla legge 1 marzo 2001, secondo il quale l’inutilizzabilità opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento, se gli informatori non sono stati interrogati né assunti a sommarie informazioni;
– dei soggetti cui sia stato imposto il divieto di comunicare fatti e circostanze ai sensi dell’art. 391-quinquies.
A queste ipotesi di divieti « personali» si aggiungono i verbali di atti compiuti senza le prescritte autorizzazioni dell’art. 391-septies e -nonies, nonché, a fortiori, di accessi ai luoghi di abitazione e loro pertinenze, certamente vietati. Fin qui le ipotesi di inutilizzabilità connesse a violazioni di regole concernenti gli atti di investigazione. Con riguardo al regime delle vere e proprie prove, di cui è consentito l’espletamento nelle forme dell’art. 392, valgono le regole di cui all’art. 403, segnatamente quella dell’inutilizzabilità nei confronti di imputati i cui difensori non abbiano partecipato alla loro assunzione, nonché nei confronti di imputati raggiunti solo successivamente da indizi di colpevolezza, i cui difensori non abbiano comunque partecipato all’incidente probatorio, salva l’ipotesi di cui all’ultima parte del comma 1-bis della norma in argomento. Ma in proposito è bene aggiungere che, con riguardo all’audizione con incidente probatorio di investigatori privati e consulenti tecnici, audizione certamente ammissibile poiché trattasi di soggetti non attinti dal divieto di cui all’art. 197, va comunque ritenuta l’inutilizzabilità di dichiarazioni eventualmente ottenute de relato, non essendo concepibile per il consulente tecnico – e a fortiori per l’investigatore – l’applicabilità dell’art. 228, contemplante un’autorizzazione del giudice solo limitatamente figura del perito. Con riguardo, infine, al comma 3 dell’art. 391-ter, attributivo del potere di documentazione al difensore o al sostituto, non sembra potersi ravvisare l’esistenza di un vero e proprio divieto di documentazione in forme diverse da quella prescritta e, di conseguenza, la corrispondente sanzione di inutilizzabilità, né varrebbe richiamare, in proposito, la possibile nullità del relativo verbale attesa la tassatività della previsione di cui ali’ art. 142, nella cui sfera certamente non rientra l’ipotesi in discussione.
3. Le sanzioni disciplinari.
Altre possibili conseguenze della violazione di regole attinenti l’attuazione delle investigazioni difensive sono le sanzioni disciplinari a carico dei trasgressori. Esse sono concepite, in parallelo alla stessa inutilizzabilità, nel secondo periodo del comma 6 dell’art. 391-bis, con formula perentoria, tesa evidentemente a stabilire in modo categorico il possibile concorso dei due tipi di sanzione, tanto da specificare, pressoché superfluamente, l’ulteriore obbligo del giudice di comunicare il riscontro della violazione all’organo titolare del potere disciplinare.
A tale esplicita previsione sono logicamente da aggiungersi tutte le ipotesi di responsabilità disciplinare previste dal Codice deontologico forense, segnatamente negli articoli:
– art. 2, che attribuisce agli organi disciplinari la potestà di irrogare le relative sanzioni;
– art. 7. I, per il quale commette infrazione disciplinare l’ avvocato che consapevolmente compia atti contrari ali’ interesse dell’assistito;
– art. 11. II, che attribuisce valenza di infrazione disciplinare al rifiuto di prestare attività di gratuito patrocinio ovvero alla richiesta di compenso per la prestazione di tale attività;
– art. 16. I, per il quale commette infrazione disciplinare chi abbia richiesto l’iscrizione all’albo in presenza di cause di incompatibilità;
– art. 19. II, per il quale costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o di prestazioni a terzi o la corresponsione o la promessa di vantaggi al fine di ottenere difese o incarichi;
– art. 21. I, che dichiara disciplinarmente sanzionabili l’uso del titolo professionale in mancanza di esso o lo svolgimento di attività in costanza di sospensione, con la precisazione che dell’infrazione risponde anche il collega che abbia reso possibile l’attività irregolare;
– art. 26. III, che sancisce la responsabilità disciplinare dell’avvocato che incarichi il praticante di svolgere attività difensiva non consentita;
– art. 27. II, per il quale costituisce illecito disciplinare il comportamento dell’avvocato che riceva la controparte, senza informarne il difensore ottenerne il consenso;
– art. 41. I, che eleva a sanzione disciplinare il trattenere oltre il necessario le somme ricevute per conto della parte assistita.
Quanto alla responsabilità disciplinare ricollegabile alle Regole di comportamento del penalista, oltre al richiamo preliminare, espresso nell’art. l , di quelle del Codice deontologico forense testè esaminate, non si segnalano espresse ipotesi di responsabilità disciplinare. Tuttavia, in relazione alla violazione di specifici divieti, sono da segnalare:
– l’art. 6, comma 1, che prevede per il difensore « il dovere di mantenere il segreto professionale sugli atti delle investigazioni e sul loro contenuto, fìnché non ne faccia uso nel procedimento, salva la rivelazione per giusta causa nel’interesse del proprio assistito»;
– l’art. 7, comma 1, che prevede il divieto per i soggetti delle investigazioni, salvo il solo rimborso di spese documentate, « di corrispondere compensi o indennità sotto qualsiasi forma alle persone che ai fini delle investigaizioni difensive danno informazioni o si prestano al compimento accesi ai luoghi, ispezione di cose, rilievi: consegna o esame di documenti e, in genere, alla esecuzione di atti»;
– l’art. 11, comma 1, che fa divieto ai soggetti della difesa « di applicare le disposizioni degli artt. 391-bis e 391-ter del codice di procedura penale nei confronti della persona assistita».
4. Le sanzioni penali: rinvio.
Le responsabilità di carattere penale, anch’esse configurate espressamente in materia di investigazioni, sono oggetto di specifiche previsioni di diritto penale sostanziale, al cui esame, pertanto, si rinvia il lettore che ne sia ancora interessato.
Estratto dal libro “Compendio delle Investigazioni Difensive” – Autore Giuseppe Ruggiero, Giuffrè Editore