L’ udienza preliminare si è svolta ieri mattina, davanti al giudice Marco Guida. Un’ udienza che le figlie di Vito Scannicchio temevano di aver perso in partenza, perché i periti della difesa e quelli del giudice, una pletora di sei esperti, tra medici legali e neurologi, avevano certificato che non c’ era nesso di «causa ed effetto» tra la cura sbagliata e la morte. I due pool di periti hanno certificato che l’ uomo sarebbe morto comunque. Ma non hanno considerato un particolare, che invece l’ avvocato di parte civile, Elio Addante, a sorpresa ha presentato in aula, capovolgendo le sorti dell’ udienza e arrivando al rinvio a giudizio. Quel particolare è una pillolina: una cardioaspirina, prescritta in ospedale, che invece di aiutare il paziente, lo avrebbe ucciso. L’ avvocato della famiglia ripercorre in aula gli ultimi tre giorni di vita di Scannicchio. «L’ 11 dicembre 2001 Vito arriva al Di Venere alle 13,50. Il medico del pronto soccorso – racconta al giudice Addante – lo visita e lo invia a Neurologia con una diagnosi di “ictus”, ma l’ uomo viene sottoposto a una visita molto marginale. Tra le 18 e le 20 si sente male e vomita. Gli viene somministrata una fiala di Plasil. Vito Scannicchio sta sempre peggio. Il medico finisce il turno e va via. La figlia chiede aiuto al medico di guardia (sono le 21,45), che richiede il prelievo del sangue, l’ ecocardiogramma e la tac, esami che ancora non erano stati fatti. Dalla sala Tac Scannicchio esce in coma. Viene operato di urgenza. Il 13 dicembre il suo cuore si ferma». La famiglia ora chiede giustizia. Il pm, Isabella Ginefra, chiede il rinvio a giudizio. L’ avvocato Addante chiede al giudice perché il dottore (uno specialista) con la diagnosi di ictus del pronto soccorso non abbia richiesto gli esami di rito: la Tac, l’ esame del sangue (il paziente era diabetico), la radiografia al torace, il monitoraggio cardiaco. Il medico avrebbe prescritto a scatola chiusa una cura a base di diversi medicinali, tra cui appunto la cardioaspirina. Qui il colpo di scena. L’ avvocato presenta un parere scientifico di Silvio Garattini, direttore dell’ Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, secondo cui «il trattamento con antiaggreganti (cioè con la cardioaspirina) non rientra tra i trattamenti per l’ ictus emorragico. è invece indicato nel trattamento acuto dell’ ictus ischemico. Anzi esistono controindicazioni», perché favorisce un’ ulteriore espansione dell’ ematoma. Il neurochirurgo avrebbe confuso i due ictus. Silenzio in aula. «La terapia – conclude l’ avvocato – prescritta non solo risulta inappropriata, ma ha portato alla morte il paziente». L’ avvocato Addante, fino a questo momento aggressivo, abbassa il tono. Lui che spesso difende i medici, proprio in casi di malasanità, lui che per mesi ha studiato il caso come un detective su libri di medicina, si ferma e chiude l’ arringa con il testamento morale di Carlo Urbani, un medico, che crede nella medicina, ma anche che «tutti hanno diritto ad un aiuto», anche chi non c’ è più. Il giudice accetta la richiesta dell’ accusa: «Rinvio a giudizio».

Fonte, la Repubblica.it – 6/12/2004