“L’insostenibile leggerezza del nuovo statuto penale del medico”

Pubblicazione a cura dell’Avvocato Elio Maria Addante – Responsabilità Medica Bari

 

1. Uno sguardo al passato;
2. Il novum introdotto con la legge Balduzzi [l. 8 novembre 2012, n. 189];
3. La riforma Gelli- Bianco [l. 8 marzo 2017, n. 24]: l’art. 590 sexies c.p.;
4. Profili di diritto intertemporale

 

1. Uno sguardo al passato

Nel periodo antecedente la riforma Balduzzi, nel diritto vivente, si è registrato un primissimo atteggiamento “indulgente” verso la  classe medica, tendente ad affermare la responsabilità penale nei soli casi di errore grave e inescusabile e ciò, sotto il versante tecnico giuridico, in ragione della ritenuta applicabilità, nel campo della responsabilità penale medica, della previsione del codice civile dell’art. 2236 c.c..

In tal modo, la responsabilità del medico veniva circoscritta ai soli casi caratterizzati da dolo o colpa grave, riconoscendo, dunque, la responsabilità penale nei casi di errore grave e macroscopico, conseguente all’insussistenza dello standard minimo di perizia, prudenza e diligenza richieste al medico, seppur nell’ambito di prestazioni implicanti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

E ciò in conformità con il  canone di cui all’art. 2236 c.c., che, in tema di responsabilità del prestatore d’opera, dispone “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non nei casi di dolo o colpa grave”.

Tale primo orientamento trovava una sua giustificazione, anche dal punto di vista logico-giuridico, nel principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico, per cui si riteneva irragionevole che una stessa condotta non costituiva fonte di responsabilità in ambito civile, ma, in modo contraddittorio, lo era sul versante penale!

Sennonché, un siffatto atteggiamento di indulgenza verso la classe medica ebbe vita breve, poiché, per un verso, si obiettava che in ambito penale, l’unico criterio di accertamento della responsabilità colposa doveva essere considerato l’art. 43 c.p..

E, per altro verso, si censurava il ricorso all’art. 2236 c.c., osservando che il sistema penalistico doveva ritenersi impermeabile alla previsione di cui all’art. 2236 c.c., poiché il grado della colpa era stato concepito dal legislatore penale soltanto ai fini della determinazione in concreto della pena ai sensi dell’art. 133, co. 1, n. 3 c.p.

Quest’ultimo orientamento, esclusivamente fondato sulla nozione dell’elemento psicologico della colpa ex art. 43, terzo alinea, c.p. (divenuto l’ombelico del mondo circa la responsabilità penale del medico), attesa la sua eterea ed impalpabile formulazione,  comportò, da un lato, un incremento smisurato del contenzioso nei confronti dei medici, dall’altro, un sensibile accrescimento delle condanne penali.

Di qui l’inaugurazione di un nuovo e diverso percorso del diritto vivente che, nella valutazione della condotta medica, introduce e promuove il ricorso alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali, giungendo a postulare l’equazione, more mathematico, della esclusione della responsabilità penale nei casi di osservanza formale delle raccomandazioni contenute nelle linee guida.

Ne conseguì uno spropositato ricorso alla cd. medicina difensiva, sia nella sua forma positiva, che ricorre quando il medico, per evitare addebiti di responsabilità, prescrive innumerevoli esami diagnostici, al sol fine di scongiurare una contestazione giudiziaria in merito alle scelte di cura effettuate, sia nella sua forma negativa, che ricorre allorché il medico si astiene dal compiere interventi diagnostici o trattamenti chirurgici potenzialmente rischiosi per l’elevata probabilità di insuccesso.

Sennonché, il ricorso eccessivo alla medicina difensiva da parte della classe medica, divenuto autentico scudo sollevato in ambito giudiziario penale, ma a discapito della salute e della cura del paziente, in epoca più vicina ai nostri tempi e in prossimità dell’approvazione della legge Balduzzi, ha trovato un argine in un nuovo indirizzo della giurisprudenza, che segna il punto di maggiore sfavore per la classe medica, espresso, in modo plastico, nella nota sentenza della Suprema Corte n. 35922/2012, ric. Ingrassia.

Con tale pronuncia, in estrema sintesi, crolla il dogma fondato sulla equazione, more mathematico, tra osservanza formale delle linee guida ed esclusione della responsabilità penale e viene inaugurato il nuovo orientamento giurisprudenziale, fonte di assoluta incertezza sia per il medico, sia per l’operatore giuridico, per cui il rispetto formale delle linee guida da parte del medico non equivale ad esonero dalla responsabilità penale, pur precisandosi la postulazione contraria, per cui l’inosservanza delle linee guida non è di per sé fonte di responsabilità.

In proposito, è utile richiamare testualmente il dictum della Suprema Corte che così afferma: “Può ritenersi conclusione condivisa (…) che l’adeguamento o il non adeguamento del medico alle linee guida (…) non escluda né determini automaticamente la colpa. È evidente, infatti, che le linee guida contengono valide indicazioni generali riferibili al caso astratto, ma è altrettanto evidente che il medico è sempre tenuto ad esercitare le proprie scelte considerando le circostanze peculiari che caratterizzano il caso concreto e la specifica situazione del paziente, nel rispetto della volontà di quest’ultimo, al di là delle regole cristallizzate nei protocolli medici. La verifica circa il rispetto delle linee guida va, pertanto, sempre affiancata ad un’analisi – svolta eventualmente attraverso perizia – della correttezza delle scelte terapeutiche alla luce della concreta situazione in cui il medico si è trovato ad intervenire” [Cass. pen. Sez. IV, 11.07.2012, n. 35922, Ric. Ingrassia].

 

2. Il novum introdotto con la legge Balduzzi [l. 8 novembre 2012, n. 189]

In tale contesto, si colloca l’approvazione della nota legge Balduzzi, dell’8.11.2012, n. 189, recante il titolo “Disposizioni urgenti per promuovere il livello del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, con una finalità meritoria tendente, per un verso, a mitigare il ricorso alla medicina difensiva, nell’ottica di una maggior tutela del paziente.

E, per altro verso, a fornire un criterio il più possibile oggettivo di valutazione della responsabilità penale del medico, recuperando, a tal fine, la centralità delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali.

In particolare, sul versante della responsabilità penale, la L. Balduzzi, con il suo art. 3 dal titolo “Responsabilità penale dell’esercente le professioni sanitarie” stabiliva al primo comma: «L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il Giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo»,.

In sostanza, tralasciando la modifica intervenuta durante la conversione del decreto legge Balduzzi, le finalità che si intendevano realizzare erano:

– rassicurare gli operatori sanitari in relazione ai possibili rischi giudiziari correlati alla tendenza alla iper-penalizzazione della loro attività, da un lato;

– elevare lo standard qualitativo delle prestazioni rese a beneficio dei pazienti, dall’altro.

In particolare, due sono stati i punti cardine del nuovo meccanismo delineato della L. Balduzzi:

– la valorizzazione delle linee guida e delle virtuose pratiche terapeutiche, purché corroborate dal sapere scientifico;

– la distinzione tra colpa lieve e colpa grave, per la prima volta normativamente introdotta nell’ambito della disciplina penale dell’imputazione soggettiva.

Sennonché, la L. Balduzzi e, in particolar modo la formulazione dell’art. 3 sotto il profilo della responsabilità penale del medico, aveva suscitato talune perplessità esegetiche e, dunque, applicative, principalmente in relazione a tre distinti profili:

1. l’art. 3 conteneva un riferimento espresso alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica senza, tuttavia, fornire una definizione normativa di linea guida e senza l’indicazione della fonte cui far riferimento per individuare le linee guida più accreditate (come vedremo di qui a breve, la nuova L. Gelli-Bianco prevede espressamente la creazione di una banca dati nazionale per la raccolta di linee guida scientificamente approvate);

2. l’aver previsto una responsabilità penale del medico, nonostante l’osservanza dello stesso alle linee guida e alle buone pratiche clinico assistenziali, donde, il dogma in culpa sine culpa;

3. l’aver introdotto una causa di non punibilità richiamando il criterio della colpa lieve, circoscrivendo la rilevanza alle sole condotte connotate da colpa grave, senza però fornire una definizione normativa di colpa lieve e colpa grave, criteri che, tuttavia, la L. Balduzzi promuoveva da mero parametro di determinazione della pena, al rango di criterio di selezione della rilevanza penale delle condotte, nel senso di una irrilevanza nel caso di colpa lieve e di una rilevanza nel caso di colpa grave.

Ebbene, quanto al dogma in culpa sine culpa – tema che, come vedremo, viene ancor più esaltato con la nuova L. Gelli-Bianco – e, dunque, al quesito che si era posto all’indomani della L. Balduzzi sulla contraddizione, apparente o reale, della formulazione dell’art. 3, nel senso che sembrava difficile far coesistere le due diverse anime (da un  lato una condotta conforme alle linee guida e, dall’altro, una responsabilità colposa del medico) è venuta in soccorso la Suprema Corte, con la nota sentenza Cantore del 29.1.2013 n. 16237.

In particolare, i Giudici di legittimità, muovendo dalla premessa fondamentale per cui le linee guida non indicano un’analitica ed automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generale e soluzioni di massima, hanno rilevato che esse vanno applicate senza automatismi, adattandole alle specifiche peculiarità del caso concreto.

Donde, la Suprema Corte afferma testualmente “nella logica della novella (L. Balduzzi) il medico che inquadra correttamente il caso nelle sue linee generali con riguardo ad una patologia e che, tuttavia, non persegua l’adeguamento delle direttive allo specifico caso clinico e non rilevi la necessità di disattendere  le direttive generali per perseguire una diversa strategia che governi più efficacemente la peculiarità del caso clinico e, dunque, il quadro patologico complessivo del paziente, sarà censurabile, in ambito penale, quando l’acritica applicazione della strategia ordinaria riveli un errore grave”, mentre, aggiungiamo noi, beneficerà della causa di non punibilità in caso di errore lieve.

In sintesi, la colpa del medico, nella previsione della Balduzzi, consisteva nell’essersi attenuto alle linee guida, quando, invece, il caso clinico concreto ne suggeriva, in modo macroscopico, il discostarsi, con conseguente colpa grave, penalmente rilevante.

Fin qui in ordine al profilo interpretativo della culpa sine culpa, risolto nei termini innanzi illustrati.

Un ulteriore problema interpretativo posto dalla L. Balduzzi si è registrato in merito all’ambito applicativo della causa di non punibilità ed, in particolare, sulla possibile applicazione della causa di non punibilità alle sole condotte colpose per imperizia o anche ai casi di condotte colpose per imprudenza o negligenza.

In merito, si sono registrati tre orientamenti giurisprudenziali, in parte contrapposti tra loro.

Un primo maggioritario, ma risalente, che ha offerto un’interpretazione decisamente restrittiva della causa di non punibilità in questione, limitandola alle sole ipotesi di imperizia, donde l’adagio in  culpa levis sine imperitia non excusat .

Il secondo orientamento, nel solco del primo, ancora più restrittivo, per cui soltanto l’imperizia, stricto sensu intesa, rileva per la causa di non punibilità e non quella che lambisce l’imprudenza e la negligenza, donde l’adagio culpa levis sine stricta imperitia non excusat.

Trattasi di vera e propria interpretatio abrogans della causa di non punibilità in questione, poiché, con quest’ultimo orientamento si registrava la tendenza a ravvisare nelle condotte dell’operatore medico, commissive od omissive, profili di colpa per negligenza e per imprudenza, con conseguente inapplicabilità della causa di non punibilità della Balduzzi.

Un terzo orientamento, il più attuale, sorto in prossimità dell’approvazione della legge Gelli-Bianco, espresso nelle sentenze della Suprema Corte 6.3.2015, ric. Manzo e  6.6.2016, ric.  Denegri, per cui: “La limitazione della responsabilità penale del medico prevista dall’art. 3, della L. Balduzzi, in caso di colpa lieve e per le condotte professionali conformi alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, può operare anche quando la condotta erronea sia connotata da profili di colpa generica diversi dalla imperizia” facendo venir meno dunque il dogma culpa levis sine imperitia non excusat ed inaugurando il nuovo e più favorevole orientamento della culpa levis cum imprudentia et neglegentia excusat.

3. La riforma Gelli-Bianco [l. 8 marzo 2017, n. 24]: l’art. 590 sexies c.p 

Orbene, quando il diritto vivente aveva inaugurato un orientamento esegetico di massima estensione della causa di non punibilità e, dunque, sicuramente di favor verso la classe medica, avendo ritenuto applicabile la causa di non punibilità non solo nelle ipotesi di imperizia, ma anche nelle ipotesi di imprudenza e negligenza, è stata approvata la legge Gelli-Bianco.

Le novità della legge Gelli-Bianco sono fondamentalmente:

1. l’introduzione nel codice penale del nuovo art. 590 sexies c.p., rubricato “responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”;

1.1 la previsione della non punibilità solo per le ipotesi di omicidio colposo e lesioni colpose ex art. 590 sexies, co. 1, c.p.: ebbene, tale primo comma non è affatto pleonastico, perché, ove si confronti con il testo della legge Balduzzi, quest’ultima prevedeva la causa di non punibilità in generale per ogni ipotesi di reato colposo consumata dal medico, mentre la legge Gelli-Bianco limita la non punibilità alle sole ipotesi di omicidio colposo e lesioni ex 589 e 590 c.p.; quindi, a titolo meramente esemplificativo, ne risultano escluse le ipotesi di interruzione colposa della gravidanza ex art. 17 legge n. 194/1978.

2. Il secondo comma dell’art. 590 sexies c.p. introduce la causa di non punibilità, prevedendo che “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Orbene, trattasi di una causa di non punibilità di difficile inquadramento dogmatico, potendo essere ricondotta alternativamente a una:

a) causa di giustificazione o scriminante;

b) causa di esclusione della colpevolezza o scusante;

c) cause di esclusione della sola punibilità o esimente.

Oggi sulla L. Gelli-Bianco, si ripropongono i dubbi sorti e non risolti per la L. Balduzzi.

Difatti, tale tematica era stata oggetto di approfondita indagine, senza, tuttavia, che sia stata fornita una risposta univoca sul punto.

Anzitutto, la Suprema Corte, con la nota sentenza Cantore, dopo aver evidenziato la natura ambigua della causa di non punibilità introdotta con la L. Balduzzi, rilevava che era da escludere la configurabilità di una causa di giustificazione ovvero di una scriminante.

Infatti, si rilevava che “non si è in presenza di una giustificazione che trovi la sua base in istanze germinate in altre parti dell’ordinamento giuridico. Nè può pensarsi ad una scusante, cioè ad una causa di esclusione della colpevolezza”, concludendo nel senso di una tipica ipotesi di abolitio criminis parziale [Cass., n. 16237, 29.1.2013, ric. Cantore].

Analoghi dubbi sono sorti nell’ambito della giurisprudenza di merito, tant’è che il Tribunale di Milano, con ordinanza del 21.3.2013, aveva persino sospettato la legittimità costituzionale dell’art. 3 della L. Balduzzi, rilevando l’incongruenza e la contraddizione della formulazione della causa di non punibilità di nuovo conio.

In particolare, il Tribunale di Milano evidenziava la contraddizione della formulazione della norma in questione che, per un verso, riconosceva la causa di non punibilità e, per altro verso, riconosceva la risarcibilità del danno così cagionato ex art. 2043 c.c..

In sintesi, si assumeva da parte del Tribunale di Milano che, se l’operatore sanitario si attiene a linee guida e buone pratiche, non verserebbe mai in colpa lieve, ma il fatto è contraddetto – da un punto di vista del diritto civile – dal richiamo all’articolo 2043 del codice civile.

Diversamente, secondo altra interpretazione, la colpa dell’esercente la professione sanitaria è comunque sussistente, ma non è punibile.

Trattasi quindi – secondo il Tribunale di Milano – di “una formula criticamente equivoca” che “evidenzia un dato normativo impreciso, indeterminato e quindi in attrito con il principio di ragionevolezza e di tassatività, sub specie del principio di legalità ex artt. 3 e 25, comma 2 Costituzione”.

Purtroppo, la Corte Costituzionale, investita della questione, ha deciso di non decidere, poiché con l’ordinanza del 6.12.2013 n. 295, ne ha dichiarata l’inammissibilità per difetto del requisito della rilevanza della questione.

Dunque, la questione posta dal Tribunale di Milano non era manifestamente infondata, ma peccava di adeguata motivazione in ordine alla sua rilevanza, donde la declaratoria di inammissibilità della Corte Costituzionale.

A questo punto, di fronte ad un’oggettiva criticità della formulazione della L. Balduzzi, criticità tale da richiedere l’intervento demolitorio della Corte Costituzionale, il legislatore, preso atto di  tale situazione di incertezza, è intervenuto con la nuova legge Gelli-Bianco, abbandonando l’ellittica formulazione della l. Balduzzi “non risponde penalmente per colpa lieve, fermo l’obbligo ex art. 2043 c..c.” ed adottando una formulazione della causa di non punibilità in termini più lineari, mediante la locuzione “la punibilità è esclusa”.

Tale enunciato rinvia ad una tipica causa di esclusione della punibilità, analoga alle ipotesi di non punibilità già previste dal codice penale negli art. 376 c.p., quanto alla ritrattazione nella falsa testimonianza, all’art. 598 c.p., quanto alla immunità giudiziaria e, infine, all’art. 649 c.p., quanto alla non punibilità nei delitti contro il patrimonio per i rapporti familiari.

Tale inquadramento dogmatico, nel senso di una causa di esclusione della punibilità, trova indiretta conferma nella previsione dell’art. 7, comma 3, seconda parte, per cui “il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta del medico ai sensi dell’art. 5 e dell’art. 590 sexies c.p.”.

Pertanto, deve escludersi che possa trattarsi di una causa di giustificazione, poiché per queste ultime il fatto incriminato deve essere lecito sia sotto il profilo penale, sia extrapenale, ossia per l’intero ordinamento giuridico, stante l’unitarietà dello stesso e in ossequio al principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico.

Infine, la norma in questione prevede espressamente il coefficiente psicologico della colpa, sub specie per imperizia, ai fini della invocabilità della causa di non punibilità in questione.

Quindi, non può essere inquadrata in una scusante.

In definitiva, la L. Gelli-Bianco, a nostro sommesso avviso, introduce nel sistema penalistico, una nuova causa di esclusione della punibilità in senso stretto.

Le ulteriori novità e luci della legge Gelli-Bianco, desumibili dal testo di legge, sono:

1. codificazione delle linee guida e delle buone pratiche mediche.

Ebbene, sul punto il legislatore sembra aver fatto proprio il consolidato orientamento della Corte di Cassazione che, sul tema, ha costantemente statuito che le linee guida rappresentano delle “raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche” [per tutte, cfr. Cass., 6.6.2016, n. 23283, Ric. Denegri ].

Peraltro, oggi, con l’intervenuta codificazione delle linee guida, si può ritenere che le stesse, offrendo standards legali precostituiti, assurgano a rango di regole cautelari e, pertanto, la loro violazione potrebbe integrare un’ipotesi di colpa specifica.

2. L’art. 3 istituisce l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche clinico assistenziali sulla sicurezza nella sanità.

3. L’art. 5 prevede l’istituzione di un apposito pubblico elenco di istituzioni pubbliche e private, nonché di società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, deputate alla elaborazione delle linee guida

4. Lo stesso art. 5, commi 1 e 3 prevede e disciplina un sistema di pubblicazione delle linee guida, con la previsione della pubblicazione delle stesse nel sito dell’Istituto superiore di sanità pubblica.

5. L’art. 15 dispone che, nei procedimenti civili e penali, la nomina dei consulenti tecnici di ufficio e dei periti debba ricadere su un medico specializzato in medicina legale e su uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento.

6. L’art. 16 dispone che i verbali e gli atti conseguenti all’attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell’ambito di procedimenti giudiziari.

Una volta illustrati gli aspetti positivi della L. Gelli-Bianco, a questo punto appare doverosa una disamina dei profili di criticità della stessa legge.

1. La previsione di cui all’art. 590 sexies, co. 2 c.p. limita l’operatività della causa di non punibilità solo alle ipotesi caratterizzate dalla colpa, sub specie per imperizia, escludendo, dunque, l’operatività per le ipotesi di colpa sub specie per imprudenza e negligenza, mentre la legge Balduzzi non operava alcuna distinzione tra negligenza, imprudenza e imperizia, posto che lo stesso testo di legge non conteneva alcuna specificazione delle tre forme di colpa.

In proposito, la giurisprudenza più recente, come innanzi visto, aveva riconosciuto operante la causa di non punibilità anche nelle ipotesi di negligenza ed imprudenza e non solo, dunque, nelle ipotesi di imperizia, evidenziando che la limitazione della responsabilità penale prevista dalla l. Balduzzi, in caso di colpa lieve e per le condotte professionali conformi alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, può operare anche quando la condotta erronea sia connotata da profili di colpa generica diversi dalla imperizia” (Cass., sez. IV, 6.6.2016, n. 23283, Ric. Denegri).

In definitiva, la legge Gelli-Bianco non ha colto l’orientamento più recente e garantista per la classe medica espresso dal diritto vivente, bensì, ha delimitato la causa di non punibilità alla forma di colpa  sub specie di imperizia, scegliendo, almeno in apparenza, di accordare una maggior tutela alla salute dei pazienti.

2. Nella previsione della causa di non punibilità della L. Gelli-Bianco cade la distinzione tra la colpa lieve e colpa grave, invece presente nella legge Balduzzi: in sintesi, per la Balduzzi, il medico, che si adeguava alle linee guida, rispondeva solo per colpa grave, mentre, non era responsabile per la colpa lieve.

3. Oggi, per la L. Gelli-Bianco, la punibilità viene esclusa, si badi, esclusivamente per l’evento verificatosi a causa di imperizia, quando:

– il medico rispetta le raccomandazioni previste dalle linee guida, così come indicate e pubblicate ai sensi della legge;

– ovvero, in mancanza delle linee guida, osserva le buone pratiche clinico assistenziali, di cui all’art. 3 della stessa legge.

Ma, in ogni caso, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità, la legge Gelli-Bianco prevede, quale quid novi, l’adeguatezza delle raccomandazioni alla specificità del caso concreto, stabilendo espressamente che “la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni [..] sempreché le raccomandazioni risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Fin qui le novità della disposizione penalistica, ossia l’art. 6 che introduce il nuovo art. 590 sexies c.p., rispetto al testo dell’art. 3 della L. Balduzzi, novità che emergono dalla semplice comparazione dei testi di legge.

A questo punto, una volta delineata la natura giuridica della causa di non punibilità introdotta dalla L. Gelli-Bianco e dei suoi elementi costitutivi, s’impongono alcune iniziali osservazioni sul potenziale ambito di applicazione e sugli eventuali profili di criticità di tale causa di non punibilità, nuova nel panorama codicistico.

1) Una prima annotazione, in questo caso decisamente favorevole per la classe medica [tant’è che, nei primi commenti, si è parlato di vero e proprio scudo per il medico] sarebbe la scelta del legislatore di ritenere irrilevante penalmente l’imperizia, in tutta la sua estensione, da lieve a grave.

L’osservazione in questione, secondo cui l’imperizia non punibile sarebbe, per la legge Gelli-Bianco, non solo quella lieve, ma anche quella grave, la si desume – anzitutto – dalla formulazione letterale dell’incipit del secondo comma dell’art. 590 sexies c.p., per cui “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia”, che, dunque, non contiene specificazioni quanto a gradualità dell’imperizia.

Inoltre, mentre nella previsione della L. Balduzzi la non punibilità era espressamente prevista solo per la colpa lieve, oggi, il legislatore, eliminando ogni riferimento alla gradualità della colpa, sub specie per imperizia, sembrerebbe aver esteso la causa di non punibilità in questione sia per l’imperizia lieve, come nella Balduzzi, sia per l’imperizia grave.

2) Una seconda annotazione, questa volta decisamente sfavorevole per la classe medica, la si desume dal fatto che l’attuale causa di non punibilità, per espressa previsione legislativa, si riferisce esclusivamente alla colpa sub specie per imperizia; mentre, le residue forme di colpa sub specie per negligenza e per imprudenza, poiché rimaste fuori dalla causa di non  punibilità, sarebbero penalmente rilevanti sia nella forma grave sia nella forma lieve.

Orbene, accedendo a tale lettura della norma, nel senso di ritenere, per un verso, non punibile la colpa per imperizia, tanto nella forma grave quanto in quella lieve e, per altro verso, punibile la colpa per imprudenza e negligenza, anche nella forma lieve, si giungerebbe ad una situazione davvero paradossale e paralogistica, e la stessa previsione si esporrebbe ad un primo profilo di legittimità costituzionale.

Difatti, una medesima condotta, se ritenuta imprudente o negligente, sarebbe punita a titolo di colpa lieve, mentre, se ritenuta connotata da imperizia, non sarebbe punita, neanche a titolo di colpa grave.

3) Inoltre, i commentatori hanno individuato un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, sempre per evidente disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri professionisti, la cui condotta colposa è penalmente rilevante, quando si offende il bene della vita, anche nell’ipotesi di imperizia, seppur lieve.

Ma è davvero così?

Innanzitutto, se fosse davvero così, di qui a poco, ci troveremmo orfani della L. Gelli-Bianco per effetto di una sentenza di illegittimità costituzionale e, dunque, con una rivitalizzazione della L. Balduzzi, ovvero con la situazione pre Balduzzi, considerato che il secondo comma dell’art. 6 ha abrogato l’art. 3 della citata legge.

In realtà, alla tesi esegetica fin ora esposta, dalle conseguenze alquanto paradossali, ossia di una irrilevanza di una imperizia grave, da un lato, e di una rilevanza di una imprudenza o negligenza anche lieve, dall’altro lato, è agevole opporre che il medico, nella nuova previsione dell’art. 590 sexies, co. 2, c.p., si “conquista” la non punibilità nel caso della imperizia, ma soltanto, si badi, per aver non solo osservato le raccomandazioni delle linee guida, ma, altresì, per aver valutato l’adeguatezza delle linee guida alle specificità del caso concreto.

Difatti, si legge nel testo di legge, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni o le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle linee guida risultino adeguate alla specificità del caso concreto [in tali termini art. 590 sexies, co. 2, c.p.].

Ebbene, l’attuale formulazione della norma sembra aver recepito il diritto vivente formatosi nel periodo pre-Balduzzi, espresso dalla nota sentenza Ingrassia, che, in modo esemplare, aveva posto, in primo piano, il tema della necessaria adeguatezza delle linee guida alle specificità del caso clinico concreto.

Dunque, l’ambito applicativo della causa di non punibilità della L. Gelli-Bianco deve ritenersi decisamente più ristretto rispetto alla precedente L. Balduzzi, esigendo dal medico un maggior rigore nell’approccio diagnostico e terapeutico e, non a caso, commentatori autorevoli ritengono che la norma sembrerebbe aver introdotto una sorta di imperizia perita, ovvero, reintrodotto il dogma, questa volta autentico, in culpa sine culpa.

Difatti, non è chiaro come possa sussistere un profilo di imperizia, ossia di violazione di regole tecniche, quando il medico ha agito non solo secondo le raccomandazioni indicate dalle linee guida, ma anche adattandole alle specificità del caso clinico concreto.

A questo punto, invero, si sostiene autorevolmente che la causa di non punibilità in questione non troverà uno spazio di concreta applicazione, poiché, ove soddisfatte le rigorose condizioni, previste dalla norma, troverebbe applicazione l’esonero da responsabilità penale in base ai principi generali fissati in tema di colpa dall’art. 43 c.p..

In sintesi, la nuova norma sembrerebbe limitarsi a ribadire espressamente che non è configurabile una colpa per imperizia quando la condotta del medico ha rispettato le linee guida, contenenti regole di perizia, adeguate alla specificità del caso concreto.

In realtà, secondo i primi  commentatori, la nuova causa di non punibilità sembrerebbe avere un suo ambito di operatività in tutti quei casi in cui il medico, pur avendo individuato correttamente la linea guida adeguata alla specificità del caso clinico concreto, sia incorso in un errore tecnico nella modalità di esecuzione, procurando una lesione al paziente o persino l’exitus dello stesso.

In tal caso, si può ipotizzare l’operatività della causa di non punibilità poiché, ragionando diversamente, la previsione legislativa in questione non avrebbe alcuno spazio applicativo e ciò contrasta con una delle regole fondamentali della ermeneutica giuridica, secondo cui l’interprete, posto di fronte a due opzioni esegetiche contrapposte, deve prediligere quella che attribuisce alla disposizione uno spazio di applicabilità, beninteso sempre conforme alla Costituzione.

Naturalmente, non trascuriamo che, nel caso innanzi visto, si potrà accedere ad una diversa soluzione interpretativa, ove il medesimo medico chirurgo sia incorso in difetto di manualità macroscopico.

Donde, un giudizio di rimproverabilità di carattere  colposo, non più sub specie per imperizia, ma sub specie per imprudenza o negligenza e, dunque, penalmente rilevante, poiché, come innanzi visto, la nuova causa di non punibilità della l. Gelli–Bianco si riferisce alle sole ipotesi di colpa per imperizia e non a quelle per imprudenza o per negligenza.

 

4. Profili di diritto intertemporale

A questo punto, s’impongono le questioni di diritto intertemporale ex art. 2 c.p..

Anzitutto, sul punto si segnala un primo intervento della Suprema Corte che, con una pronuncia datata 16.3.2017 n. 16140, ossia precedente all’entrata in vigore della stessa legge [fissata in data 1.4.2017], ha sottolineato la necessità di individuare in concreto la norma più favorevole.

Naturalmente, nulla quaestio in ordine alle condotte consumate successivamente all’entrata in vigore della nuova legge, che dovranno essere valutate alla stregua della nuova disposizione di cui all’art. 590 sexies c.p..

Quanto, invece, alle condotte consumate successivamente alla l. Balduzzi ed anteriormente all’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco [i.e. dal  11.11.2012 al 1.4.2017] occorre valutare se la nuova norma ex art. 590 sexies c.p. sia più favorevole e, quindi, retroattiva, ovvero meno favorevole e, quindi, irretroattiva, alla stregua del principio della irretroattività della legge penale.

Ebbene, la nuova disposizione di cui all’art. 590 sexies c.p. risulta sicuramente più sfavorevole rispetto alle ipotesi di reato diverse dall’omicidio e dalle lesioni colpose, poiché la causa di non punibilità introdotta con la Gelli-Bianco opera solo con riferimento a tali due fattispecie di reato.

Quindi, in relazione ai reati diversi dall’omicidio e dalle lesioni, come nel caso della interruzione colposa della gravidanza, continuerà ad applicarsi la disciplina  prevista dalla l. Balduzzi.

La previsione in questione dovrà ritenersi decisamente più sfavorevole e, dunque, non applicabile retroattivamente nelle ipotesi di addebito per responsabilità colposa, sub specie per imprudenza e negligenza, in relazione alle quali non opera la causa di non punibilità di nuovo conio; mentre, continuerà a trovare applicazione la previsione della L. Balduzzi, seppure limitatamente alle ipotesi di colpa lieve.

D’altronde, tali conclusioni trovano puntuale riscontro nell’attualissima sentenza della Suprema Corte, datata 20.4.2017, Pres. Blaiotta in procedimento de Luca, che, per quanto è dato apprendere dal comunicato provvisorio, ha statuito che la disposizione di nuovo conio, introdotta con la l. n. 24/2017 (Gelli-Bianco) trova applicazione solo ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della legge, fissata nel 1.4.2017, proseguendo che, per i fatti anteriori, ai sensi dell’art. 2 c.p., può trovare applicazione la disposizione dell’abrogato art. 3 della L. n. 189/2012 (L. Balduzzi), con ciò, implicitamente, riconoscendo il carattere meno favorevole della previsione ex art. 590 sexies c.p. introdotta dalla L. Gelli-Bianco.