L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLO STATUTO PENALE DEL MEDICO – di ELIO MARIA ADDANTE

“Tutto ciò che possa essere pensato, può essere pensato chiaramente. Tutto ciò che può formularsi, può formularsi chiaramente”

Ludwig Wittgenstein

 

1. Uno sguardo al passato
Nel periodo antecedente la riforma Balduzzi, nel diritto vivente, si è registrato un primissimo atteggiamento “indulgente” verso la classe medica, tendente ad affermare la responsabilità penale nei soli casi di errore grave e inescusabile e ciò, sotto il versante tecnico giuridico, in ragione della ritenuta applicabilità, nel campo della responsabilità penale medica, della previsione del codice civile dell’art. 2236 c.c..
In tal modo, la responsabilità del medico veniva circoscritta ai soli casi caratterizzati da dolo o colpa grave, riconoscendo, dunque, la responsabilità penale nei casi di errore grave e macroscopico, conseguente all’insussistenza dello standard minimo di perizia, prudenza e diligenza richieste al medico, seppur nell’ambito di prestazioni implicanti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
E ciò in conformità con il canone di cui all’art. 2236 c.c., che, in tema di responsabilità del prestatore d’opera, dispone “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non nei casi di dolo o colpa grave”.

Tale primo orientamento trovava una sua giustificazione, anche dal punto di vista logico-giuridico, nel principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico, per cui si riteneva irragionevole che una stessa condotta non costituiva fonte di responsabilità in ambito civile, ma, in modo contraddittorio, lo era sul versante penale!
Sennonché, un siffatto atteggiamento di indulgenza verso la classe medica ebbe vita breve, poiché, per un verso, si obiettava che in ambito penale, l’unico criterio di accertamento della responsabilità colposa doveva essere considerato l’art. 43 c.p..
E, per altro verso, si censurava il ricorso all’art. 2236 c.c., osservando che il sistema penalistico doveva ritenersi impermeabile alla previsione di cui all’art. 2236 c.c., poiché il grado della colpa era stato concepito dal legislatore penale soltanto ai fini della determinazione in concreto della pena ai sensi dell’art. 133, co. 1, n. 3 c.p.